Ha fatto scalpore la recente dichiarazione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, a riguardo dell’asserita identificazione di qualcosa come 19 milioni di compatrioti evasori. Una cifra allucinante, se vera, perché corrispondente ad un terzo circa degli abitanti del nostro Paese e ad un mezzo circa della forza lavoro attualmente operativa. Va bene che siamo un popolo di poeti, santi, navigatori ed … evasori, ma un dato del genere, se vero, dovrebbe divenire la priorità di qualunque discussione parlamentare e di qualunque azione conseguente, oltre che far nascere più di un interrogativo sul come si sia potuti arrivare a consentire un’evasione di massa di questa entità.

Ovviamente non è così, come la logica ed i numeri dichiarano da tempo con linearità e costanza, per quanto non vi sia comunque di che essere contenti, visto ciò che comporta in termini economici e sociali il mancato recupero di un corretto ed equo gettito fiscale. Potete trovare maggiori indicazioni in questo articolo, ma in sintesi possiamo riassumere che il Presidente Ruffini ha chiamato evasori anche tutti quegli italiani che hanno ricevuto una cartella esattoriale perché si sono dimenticati (certo, qualcuno furbescamente) di pagare tasse, multe, balzelli di varia natura; o perché – e in molti casi è realmente così, purtroppo – semplicemente non avevano in quel momento le sufficienti risorse economiche per poter pagare.

Scambiare un evasore, totale o parziale che sia, con un cattivo pagatore non può lasciare tranquillo nessuno di noi, se a farlo è il vertice dell’Agenzia che è preposta al recupero degli introiti di natura fiscale. Poiché le definizioni sono essenziali, in questo Paese sintatticamente molto fiscale e rigido dove più fa comodo che lo sia, ci si aspetta che non vengano confusi – proprio dai principali operatori di settore – i termini in una materia tanto delicata quanto essenziale per la vita attuale e futura della nazione.

Da parte del cittadino medio si attende, immagino, che venga certamente compiuta un’azione di recupero di quanto dovuto da chi ha pagato poco o nulla e male, rientrando del proprio debito possibilmente (in particolare là dove sussistano condizioni di evidente disagio economico) con un piano di pagamenti commisurato alla capacità economica attuale del debitore. Ma soprattutto ci si aspetta che non si faccia confusione su chi sono i veri evasori e che si imposti una politica di controllo fiscale adeguata e programmata nel tempo, al fine di recuperare il maggior gettito possibile.

Per quanto riguarda la casa, in particolare, ci si domanda come mai il tanto occhiuto fisco nostrano non riesca a recuperare il dovuto dall’enorme stock di edifici abusivi presenti nel nostro Paese ed oltretutto – e questo continua ad essere inspiegabile e clamoroso, viste le normative ed i mezzi a disposizione – in crescita anno dopo anno. Secondo questa inchiesta, peraltro datata 2018 e riferita ad un arco temporale di valutazione statistica che va dal 2005 al 2015, il numero medio di edifici abusivi presenti in Italia sarebbe allora stato pari a circa il 19,7% delle case costruite, suddiviso così per macro-aree: 6,7% al Nord, 18,9% al Centro, 47,3% al Sud ed isole. In pratica nel Mezzogiorno quasi una casa su due risulterebbe abusiva, anche se va fatta distinzione tra abuso integrale dell’intero volume o abuso parziale riferito ad ampliamenti, sopraelevazioni, difformità pesanti di superficie e/o volume rispetto a quanto concesso.

Una articolata inchiesta successiva (qui il link all’articolo), introducendo il concetto di BES (Benessere equo e sostenibile) nato da una collaborazione tra ISTAT e CNEL e di suoi sotto indicatori legati all’edificato, stima che nel 2018 l’ “indice di abusivismo edilizio” si sia attestato al 18,9%, intendendo con questo parametro di valenza generale quante siano le abitazioni abusive da rapportare al totale di quelle regolarmente autorizzate in un determinato Comune; quindi la percentuale effettiva si riduce, dovendola calcolare sulla sommatoria di case regolari e case abusive. Meglio quindi, anche leggendo le considerazioni espresse nell’inchiesta, ma sempre con numeri assolutamente abnormi.

Siamo in grado di calcolare l’incidenza dell’abusivismo, praticamente Comune per Comune, ma non siamo in grado né di arginare il fenomeno mettendo fine a questa antica passione italica per la mancanza di osservanza delle norme, né di andare a recuperare un elevatissimo gettito fiscale che potrebbe riempire le asfittiche casse statali e comunali (secondo le tasse ed imposte di incidenza) migliorando l’assetto economico di interi comparti locali. Abuso edilizio infatti vuol dire oneri concessori non corrisposti, imprese e professionisti pagati quasi sempre in nero, mancata osservanza di norme igienico-edilizie e di sicurezza, tasse e diritti non versati, imposte locali non pagate (basti pensare all’IMU se dovuta e alle tasse sulla raccolta dei rifiuti). Questo vale per le costruzioni che possono essere sanate; ovviamente quelle che sono inammissibili perché violano senza possibilità di salvezza parametri e norme soprattutto a livello paesaggistico e di salvaguardia storico/culturale, devono sicuramente essere abbattute. E questo è un altro capitolo su cui ci sarebbero da versare fiumi di inchiostro ….

Ma le case non si spostano, a differenza degli occupanti … Con i mezzi di cui comuni e regioni dispongono oggigiorno, è davvero un’impresa titanica riuscire a realizzare un elenco per ogni singolo comune nel quale vengono indicati gli immobili che risultano totalmente privi di licenza edilizia o affetti da gravissime difformità? Si pensi a Google Maps, Google Earth, voli locali con aeroplani o elicotteri per le riprese ortofotografiche, oppure l’utilizzo di droni. E dal basso, il classico rilievo topografico con strumento ottico o con stazione GPS.

Tralasciamo gli edifici con abusi o difformità “lievi” rispetto alle licenze: certo, ci sono anche quelli se vogliamo considerare una incorretta determinazione della base imponibile sulla quale applicare la tassazione fiscale. Ma un conto è “edificio presentante difformità rispetto allo stato licenziato”, ben altro conto è “edificio o parte di esso totalmente abusivo non presente negli archivi comunali”. Lì c’è vera evasione – ammesso che gli edifici non esistano invece per il Catasto pur essendo abusivi a livello urbanistico -, oltre alla proliferazione del lavoro nero (non sarebbe molto coerente pagare con bonifici delle opere risultanti abusive…) ed alla quasi certa mancanza di qualunque controllo in termini di sicurezza sul lavoro, in fase di costruzione.

Se poi aggiungiamo a queste considerazioni quelle già fatte in un precedente commento ad un articolo (lo trovate qui) nel quale si esponeva il problema delle case risultanti “fantasma” per il Catasto in numero pari a circa un milione e duecentomila, viene davvero da chiedersi se invece di fare discorsi strani su presunti “evasori” che sono talmente noti al Fisco nostrano da vedersi grintosamente recapitare a casa le cartelle esattoriali, non sia il caso di attivare finalmente una task force interforze composta da elementi preparati e determinati che scovino innanzitutto – indirizzo per indirizzo, non a livello di generiche statistiche – primariamente gli edifici abusivi mai dichiarati e/o mai censiti e determinino caso per caso il gettito fiscale che potrebbe derivarne.

In realtà, questo pare essere proprio lo scopo della Banca Dati Nazionale sull’abusivismo edilizio, introdotta a febbraio presso il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile (vedere qui), inizialmente alimentata con le segnalazioni provenienti dai Comuni e successivamente con l’apporto di dati forniti da vari Ministeri, dall’Agenzia delle Entrate, dalle Regioni. E finalmente!, verrebbe da dire. Bisognerà poi verificare se gli elenchi presenti nel database resteranno lettera morta o se si arriverà ai singoli cittadini obbligandoli a demolire ove necessario o contribuire ad aumentare anche gli indici del gettito fiscale e non solo quelli dell’abusivismo.

Attenzione, però … Come tutte le questioni complesse, non si può trovare una soluzione – per quanto articolata e valida – che soddisfi complessivamente le varie situazioni: tutto ciò non può essere fatto solo avendo occhio alle questioni relative a permessi non richiesti e tasse ed imposte non pagate. Ci sono aree del Paese che versano da decenni, per non dire da ancor più tempo, in condizioni di emergenza abitativa perché lo Stato ed i suoi enti locali hanno sempre latitato sul territorio o continuano ancor oggi a farlo. Nessuno ha diritto di infrangere la legge e commettere abusi, ovviamente nemmeno in campo edilizio. Ma lo Stato e le proprie articolazioni locali – oltre ad avere l’assoluto dovere morale nonché di pragmatismo operativo nell’emanare poche norme più chiare e meglio articolate – non può solo presentare il conto e chiedere, per quanto giustamente soprattutto di fronte a tutti i cittadini che le tasse le pagano regolarmente e i permessi edilizi li richiedono, che siano pagati i corretti tributi fiscali. Mancano una politica e una visione globale dell’abitazione ed una “educazione all’abitazione” e questo fa sì che in molte zone e regioni si viva costantemente una sorta di “emergenza continuativa dell’abitare” che non ha bisogno di alluvioni o terremoti per manifestarsi.

Su questo ci sarebbe tanto, ma tanto da lavorare. Su questo torneremo più avanti con altre valutazioni, anche legate agli aspetti idrogeologici e sismici dei nostri territori.

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Le vicende che coinvolgono i cittadini e la loro abitazione sono, com’è facile immaginare, moltissime. Il network multidisciplinare Resolvo può rispondere a tutte le problematiche legali, fiscali e di verifica dello stato dell’immobile, che inevitabilmente sorgono a fronte di successioni, verifiche fiscali, acquisto o vendita.