Un altro grave incendio, stavolta a Torino. Ulteriori considerazioni sulla sicurezza e sui requisiti professionali
Pochi giorni, e ci ritroviamo a discutere di un nuovo, gravissimo incendio dopo quello della Torre Moro. Questa volta proprio a Torino e non in un palazzo recente, ma in un edificio ottocentesco interessato da lavori di ristrutturazione in alcune mansarde.
Non è raro che si generino degli incendi in edifici nei quali si stanno effettuando lavori edili e generalmente le fonti di innesco sono sostanzialmente da ricercarsi negli impianti elettrici e/o nelle attrezzature ad essi collegati oppure nelle lavorazioni che prevedono la presenza di fiamme libere o comunque di attività con sviluppo di scintille o getto di materiali incandescenti. Pare sia proprio questo il caso in oggetto, nel quale l’attività di un fabbro in fase di saldatura avrebbe generato una fiamma che avrebbe intaccato il materiale termoisolante presente in una intercapedine, in mansarde in fase di finitura. Il condizionale è d’obbligo fino al termine dell’inchiesta in corso, ovviamente.
I risultati di un piccolo ma devastante evento di tal natura sono stati ben visibili nei tanti telegiornali che ne hanno mostrato le immagini, dopo oltre due giorni di durissimo lavoro condotto dai bravi e competenti Vigili del Fuoco operanti con numerose squadre territoriali: i tetti di quasi tutto un isolato completamente distrutti, parte dei solai collassati sul piano inferiore, evacuazione di oltre un centinaio di persone, agibilità di interi edifici interdetta anche ai piani inferiori fino al termine delle verifiche tecniche.
In questo caso non è un problema di materiali o di manutenzione degli impianti: se gli eventi sono stati determinati dalla causa ipotizzata e sopra descritta, si tratta di una problematica generatasi in fase lavorativa. E’ importante che disastri del genere, veri e propri “casi-scuola”, vengano utilizzati a livello info-formativo per chiarire a maestranze e imprese come un semplice sassolino possa trasformarsi in un attimo in una rovinosa e disastrosa frana: troppo spesso gli operatori edili non hanno la percezione di quali rischi corrano e facciano correre con le loro attività e di quanto l’attenzione continua e meticolosa sia presupposto essenziale per operare in sicurezza e con coscienza professionale.
In tema di incendi dovuti a disattenzione, divenne emblematico il caso del mercato dei fiori di Sanremo, nel 1987: sul tetto in legno lamellare in fase di costruzione, operai che stavano utilizzando fiamme libere probabilmente per l’apposizione di guaine innescarono un enorme rogo che in pochissimo tempo distrusse ventimila metri quadrati di copertura, con svariati miliardi di lire dell’epoca di danno.
La memoria però è corta, oppure le notizie proprio non si conoscono. Ma imparare dagli errori degli altri dovrebbe essere il primo modo per evitare di ripeterli (ma di nuovo, proprio in questi giorni è morto l’autista di una autocisterna dopo essersi calato all’interno della stessa senza precauzioni in presenza di vapori asfissianti: quanti altri dovranno morire prima di imparare a voler vivere?).
Questa nuova tragedia in tema di lavori edili richiama alcune considerazioni a livello di sicurezza, considerazioni che da anni in qualche confusa e non sempre definita maniera ricorrono tra gli addetti ai lavori. La prima riguarda certamente la formazione sulla sicurezza.
Formare adeguatamente un lavoratore in tema di sicurezza vuol dire dargli gli strumenti per operare correttamente per se stesso, per gli altri, per la collettività permettendogli di valutare bene i rischi che corre e fa correre con il proprio operato e di attuare le corrette procedure e misure preventive. Si dirà: “ma tutti i lavoratori devono fare formazione!” E qui sta il vulnus…
Intanto, bisogna vedere come i lavoratori che seguono corsi formativi percepiscono effettivamente l’utilità di questi corsi e se si impegnano a capire le nozioni proposte loro o se la ritengono piuttosto una noiosa ed inutile perdita di tempo. Poi esiste – per fortuna in ridotti numeri percentuali – la vergognosa piaga dei corsi formativi “fantasma”, quelli che vengono erogati solo sulla carta ma non di fatto, fornendo falsi attestati di frequenza e generando mine vaganti che si aggirano nei cantieri senza aver minimamente conosciuto e tantomeno compreso la pericolosità di certe lavorazioni, per se stessi e per gli altri.
Ma soprattutto, esiste in sede di cantiere edile la non obbligatorietà stretta e rigorosa della formazione dei lavoratori autonomi, quelli che operano in forma singola e senza dipendenti. Questo genera disparità di conoscenze di base rispetto ai lavoratori operanti in qualità di dipendenti di imprese più o meno strutturate e fa drizzare i capelli in testa ai Coordinatori della Sicurezza ad ogni nuovo cantiere, perché richiede ancora maggior attenzione e controllo ed obbliga a basarsi sulla speranza di una adeguata coscienza professionale piuttosto che sulla certezza di un solido sistema formativo.
Da anni nei convegni e nelle Commissioni di Sicurezza si discute di questo, ma credo che il buonsenso dica ciò che il continuo stillicidio di morti quotidiane reclama a gran voce: tutti gli operatori edili, nessuno escluso, devono essere formati in tema di sicurezza. Tutti, dall’ultimo degli artigiani al più importante degli imprenditori, devono conoscere rischi pericoli e prevenzioni del loro operare.
Altra considerazione importante, su cui varrà la pena di ritornare in modo specifico, è la verifica dei requisiti tecnico-professionali dell’impresa o del singolo lavoratore autonomo. Fin quando i requisiti di base da valutare per consentire l’ingresso in cantiere ad un lavoratore saranno la visura camerale ed il DURC, non credo si potrà andare tanto lontano non solo in tema di miglioramento della sicurezza, ma anche in sede di riduzione dei contenziosi legali per lavori mal svolti o non portati adeguatamente a termine.
Soprattutto in momenti come questo, nei quali l’introduzione del Superbonus 110% e la presenza di sgravi fiscali di varia natura aventi lo scopo di rilanciare il settore edilizio richiedono un elevato numero di operatori, bisognerebbe rendersi conto che la professionalità di un artigiano o di un impresa non possono passare dalla semplice verifica burocratica di iscrizioni a Camere di Commercio o di versamento dei contributi.
Sono nate migliaia di imprese ed impresine, nell’ultimo anno: sono proprio tutti esperti e capaci di effettuare il proprio lavoro, ancor più di effettuarlo in sicurezza? Non sarebbe forse il caso di introdurre delle verifiche sostanziali e non formali della capacità di operare, perlomeno in quei lavori che presentano rischi più elevati?
L’evento accidentale può accadere, certo: come dice la vulgata, solo a chi lavora può succedere qualcosa, a chi fa nulla non capita nulla; così come la fatalità – intesa come concatenazione di eventi sfortunati difficilmente controllabili – può metterci lo zampino, ma cominciamo ad avere operatori formati, preparati, consci del proprio lavoro e dei rischi connessi, controllati in fase di iscrizione e periodicamente da enti terzi: forse così smetteremmo di avere oltre tre morti al giorno sul lavoro e ridurremmo le costruzioni andate in fumo.