Da alcuni mesi il comparto edilizio ed i tecnici in esso operanti, sono fortemente sotto stress per poter comprendere ed applicare in modo coerente e preciso le disposizioni normative introdotte con il D.L. 19 maggio 2020 n. 34 (c.d. “Decreto Rilancio”) convertito con Legge n. 77 del 17.07.2020, a riguardo di interventi di efficientamento energetico ai quali lo Stato riconoscerebbe un credito d’imposta particolarmente premiante, arrivando a “regalare” un extra del 10% sull’importo lavori che può essere detratto direttamente dal contribuente in cinque anni, o utilizzabile nel rapporto con i fornitori, che possono operare lo sconto in fattura pari al 100% dell’importo lavori o con istituti di credito ed altri operatori economici che possono acquistare, alle loro condizioni, ma sempre facendo salvo l’importo complessivo dei lavori sostenuti, il credito dal contribuente garantendo il saldo degli interventi in due tranches.
Essendo questione, ancor prima che tecnica e tecnologica, fiscale ed economica, anche i commercialisti e gli studi operanti nel settore fiscale e tributario sono da mesi sotto un fuoco incrociato di richieste di pareri e di “consigli” (naturalmente intesi all’origine come gratuiti…). Ciò che emerge da queste richieste e dai numerosi incontri tecnici effettuati con potenziali interessati all’applicazione del Superbonus, siano essi proprietari di singole unità immobiliari o amministratori condominiali piuttosto che gli stessi singoli condòmini, è una diffusa sensazione della possibilità di dare ampio sfogo alle proprie esigenze di miglioramento dell’immobile di proprietà o perlomeno delle parti comuni di esso, potendo godere di un plafond di entità considerevole con la certezza assoluta che le spese degli interventi siano sostenute a monte da qualcun altro, che nella visione generale può essere l’impresa o la banca mentre dovrebbe essere chiaro a tutti che le sostiene lo Stato, ossia tutti noi, per di più scontandole subito, senza dover aspettare cinque piuttosto che dieci anni.
Insomma, l’antico concetto del “Tanto paga Pantalone!”.
Quando negli incontri si fa presente che non è proprio così e se ne dettagliano i motivi, appare evidente lo sconcerto e la delusione degli ascoltatori. Forse è meglio puntualizzare, per fare chiarezza e dare supporto logico a chi pensa erroneamente di essere stato catapultato nel Paese dei Balocchi, le varie situazioni in cui il contribuente/committente dei lavori potrebbe trovarsi a dover mettere mano alla propria saccoccia senza poter sperare in aiuti economici esterni.
Proviamo a sintetizzarle qui di seguito, prendendo come riferimento quello che è l’intervento più richiesto ovvero il cappotto termico esterno, ma con concetti applicabili anche agli altri interventi ammessi.
1- Valutazione della fattibilità dell’intervento
Poiché nessun tecnico ha la sfera di cristallo o lavora con un software ad hoc installato nel lobo occipitale, a seguito di un sopralluogo si può affermare una maggiore o minore propensione dell’edificio in esame agli interventi di miglioramento energetico per l’ottenimento almeno delle due classi richieste per accedere allo sgravio fiscale, ma non si potrà darne la certezza fino ad acquisizione avvenuta dei numerosi dati di base, delle verifiche ed ispezioni in loco, della predisposizione dell’APE (Attestato di Prestazione Energetica) sullo stato di fatto e della simulazione dell’intervento che si pensa di andare a realizzare.
Tutto questo, impegnando tempo e risorse, presupponendo una capacità professionale frutto di studio ed aggiornamento continuo e generando una notevole responsabilità su tutti i piani (economica, deontologica, civile, penale), ovviamente ha un costo.
Questo costo, qualunque esso sia, viene “assorbito” all’interno dei costi tecnici che si possono portare a credito d’imposta e quindi “scambiare” sul mercato con uno sconto diretto in fattura, piuttosto che con una cessione del credito, se gli interventi progettati a fronte dello studio di fattibilità risultano in grado di far guadagnare all’edificio le due sospirate classi di merito energetico. E se paga Pantalone, tutti felici e contenti.
Ma se il suddetto studio di fattibilità porta alla conclusione che le due classi non c’è proprio modo di raggiungerle, ecco che Pantalone si dilegua e resta il contribuente/committente a dover far fronte alle spese dello studio di fattibilità, che in tal caso resterebbero a suo esclusivo carico. Quindi, doppio scorno: non si può procedere a nessun miglioramento “gratuito” e per arrivare a saperlo tocca anche pagare di tasca propria… Questo deve essere chiaramente indicato dai tecnici in fase di presentazione delle attività ed altrettanto chiaramente compreso dalla committenza, soprattutto da chi pensa di approcciarsi a questi interventi senza avere da parte neppure una cifra minima da destinare a quanto eventualmente non rientrante ad alcun titolo negli sgravi fiscali.
2 – Possibili difformità da sanare
Questo è un capitolo particolarmente ostico, sia per l’argomento sia per i malumori che suscita nella committenza abbagliata dalla visione semplicistica del “tutto fattibile senza la minima spesa”… ma è capitolo essenziale ed ineludibile.
Sulla specificità tecnica e normativa degli abusi e delle difformità che vanno sanate e sulla modalità per farlo ci ripromettiamo di tornare specificamente in un successivo articolo. Partiamo qui da un concetto che deve diventare basilare: per essere certi che al contribuente/committente non venga richiesta, negli otto anni di tempo che l’Agenzia delle Entrate ha di norma per poter effettuare i controlli dopo la fine dei lavori, la restituzione del credito d’imposta già ottenuto, con l’aggravio delle relative sanzioni, oltre alla presentazione puntuale e scrupolosa di tutta la documentazione richiesta ed all’esecuzione precisa e corretta dei lavori in opera deve essere garantita l’assenza di difformità edilizie ed urbanistiche.
Questo, al di là di quanto richiesto dalla norma, è comunque richiesto in fase di cessione del credito tra la sfilza di documenti che la banca acquirente richiede per dare il semaforo verde all’erogazione delle cifre da accreditare.
In un Paese come il nostro, nel quale la realizzazione di opere non licenziate e la modifica irregolare degli assetti degli edifici e/o delle singole unità immobiliari è all’ordine del giorno (e della notte…) ed in qualche maniera insito nel modus vivendi della maggior parte della popolazione, nelle case ad uso residenziale è spesso più facile trovare difformità a vario livello piuttosto che totale corrispondenza tra lo stato di fatto costruito e quello documentale. Ciò significa che prima di dare inizio a qualunque attività per l’ottenimento del Superbonus pur potendone avere i requisiti, occorre “mettersi a posto”, ovvero riallineare lo stato di fatto documentale con quello edilizio in opera, modificando le carte ove occorra oppure intervenendo sull’edificio o, in alcuni casi, effettuando entrambe le attività.
Questo operare in riparazione di difformità delle più disparate (a volte disperate…) entità e tipologie, presuppone accessi agli atti, verifiche documentali, rilievi in loco e disegni, attività di analisi e di valutazione delle singole situazioni, forse incontri con Uffici Tecnici locali, approntamento di pratiche comunali (se non addirittura di altro livello) per la presentazione di sanatorie e di regolarizzazioni. Parrebbe inutile sottolineare anche in questo caso che il tempo, l’impegno e la responsabilità dei professionisti incaricati sarebbero notevoli, e comporterebbero un costo che potrebbe non essere standard ma riferito al caso specifico. Parrebbe altrettanto inutile segnalare che questa non può essere in alcun modo attività effettuata a spese dello Stato, che ha certamente l’intenzione di premiare fiscalmente chi migliora la richiesta energetica della propria abitazione garantendo così un personale contributo di stampo ecologico ed ambientale, ma altrettanto sicuramente non intende premiare comportamenti scorretti o comunque difformi dalla piena regolarità, che sono e devono restare a carico del committente.
Il quale di nuovo dovrà tornare a frugarsi nelle proprie tasche e pagare, poco o tanto che sia, l’iter di regolarizzazione della abitazione sulla quale ha interesse ad effettuare gli interventi per l’accesso al Superbonus.
3 – Costi eccedenti il tetto massimo di spesa. Costi accessori a minor sgravio
C’è poi un’ulteriore considerazione che va fatta ben comprendere alla committenza, qualora non fosse già chiara fin dalle richieste iniziali. Gli interventi afferenti il Superbonus sono effettuabili con cessione del credito fino ad un tetto massimo di spesa che è in funzione, per quanto riguarda l’esempio specifico del cappotto, della tipologia dell’edificio: 50.000 euro per ciascuna unità immobiliare residenziale singola se dotata di propria autonomia funzionale; 40.000 euro per ciascuna unità residenziale in condominio compreso tra due e otto unità; 30.000 euro per ciascuna unità residenziale in condominio superiore ad otto unità.
Ci sono margini per poter rientrare generalmente in questi valori, ma occorre considerare che la spesa complessiva è costituita al minimo da oneri di cantierizzazione, fornitura e posa in opera dei materiali, spese tecniche per tutte le varie professionalità in campo, contributi previdenziali ed oneri fiscali su fatture e parcelle ove dovuti. Non è detto, a questo punto, che tutti gli interventi, pur se agevolati al 110%, possano essere coperti dal tetto di spesa. Si può fare l’esempio dei serramenti: essendo trainati dal cappotto, possono rientrare nella agevolazione del Superbonus, ma se il loro costo complessivo dovesse eccedere il tetto di spesa ammessa per i serramenti per quell’unità immobiliare, l’eccedenza potrà essere interessata esclusivamente da un credito d’imposta pari al 50% (per quanto la recente risoluzione n. 60 dell’Agenzia delle Entrate del 28.09.2020 abbia risolto molti precedenti dubbi in materia, lasciando ampio margine economico, sufficiente per la stragrande maggioranza delle ordinarie unità immobiliari, con un limite a 60.000 euro per unità). Il restante 50% sarà quindi a carico del committente, che dovrà saperlo prima per prendere opportune decisioni in materia.
Parimenti dicasi per interventi accessori di manutenzione straordinaria che si rendessero necessari per poter effettuare le opere interessate dal Superbonus o si ritenessero opportuni per scelta della committenza (un esempio puramente indicativo: la struttura del tetto in caso di coibentazione delle parti opache): qualora non compresi in quelli ammessi al credito d’imposta del 110%, dovrebbero essere conteggiati a parte con richiesta del credito pari alla percentuale ammessa (generalmente il 50%), pur facendo salve le comode opzioni alternative dello sconto in fattura e della cessione del credito.
Insomma, Pantalone paga ma forse non tutto e non sempre … e quando paga comunque vuole essere sicuro che davvero gli spettasse di farlo, pena la restituzione di quanto non dovuto oltre le relative sanzioni. Attenzione quindi a voler partire verso questa difficile avventura con in tasca solo le mani e niente altro.
30 ottobre 2020, Paolo Mercuri, architetto