COVID-19 e Supply Chain, i rischi legali da gestire

A cura di   •   logisticanews.it

Il COVID-19, egualmente noto come Coronavirus, sta mostrando al mondo la fragilità del nostro sistema di produzione e distribuzione industriale: è evidente, infatti, che nessuno avesse prima d’ora ipotizzato uno scenario di paralisi delle supply chain a così ampio spettro.

Bloccata la Cina, dalla quale dipendono gli indotti industriali di buona parte d’Europa e Stati Uniti, e via via sempre più coinvolte da vicino proprio UE e USA, si va verso una “guerra” aperta contemporaneamente su molteplici fronti.

Una lotta non solo contro il virus, ma anche contro l’assenza di una strategia comune, le differenze di approccio e gli sbarramenti che vengono posti a macchia di leopardo non solo per difendersi legittimamente dal contagio, ma anche sull’onda di irrazionali paure (basti pensare agli autotrasportatori europei che rifiutavano di effettuare consegne in Italia già la settimana scorsa, come testimoniato da Federalimentare).

Il fatto che le aziende possano trovarsi o già si trovino, con l’aumentare delle restrizioni anti-Coronavirus, a veder ridotte produzione e forza lavoro è reale ed attuale; così come lo è da settimane, per chi ha fornitori cinesi, il non poter rispettare i contratti per via della mancanza di approvvigionamenti. Ecco dunque che, oltre che per la salute, si corrono dei rischi anche sotto il profilo legale.

Di fronte alla necessità di bloccare ed isolare con criteri militari la regione dell’Hubei, il governo cinese ha dovuto prendere delle decisioni protettive nei confronti di molte delle sue industrie, sia produttive che del settore logistico.

Effettivamente impossibilitate a svolgere il loro lavoro a ritmi normali, queste si sono viste erogare da Pechino un certificato che attesta Cause di Forza Maggiore a giustificarne l’insolvenza nei confronti dei contratti.

Una misura di protezione dettata da condizioni eccezionali, non c’è nulla da dire, ma che apre ad un ventaglio di conseguenze sul piano legale. Prime fra tutte, la validità di questi certificati al di fuori della Cina e il comportamento da adottare da parte delle aziende che si vedono presentare dai fornitori questi certificati.

Il primo punto è legato a come ogni diritto nazionale interpreta le cosiddette Cause di forza maggiore, in combinazione al tipo di contratto cui vengono applicate.

Per le legislazioni di molti Paesi una tale giustificazione è soggetta ad una serie di specifiche differenti a seconda delle circostanze e del contratto, quindi è possibile che non sempre questa dicitura si considerata universalmente valida.

Molto dipende dai contratti: infatti non tutte le contrattualistiche e non tutti i Paesi prevedono una difesa per “cause di forza maggiore” che siano basate su eventi imprevedibili e non controllabili dalle parti in causa.

Questo può intuitivamente portare a due problemi: per le aziende che si vedono costrette a ricorrere a questo tipo di certificazione, il doverlo fare con il massimo range di applicabilità della stessa, e per quelle che la ricevono assicurarsi che sia valida, per non ritrovarsi a loro volta senza una motivazione valida da opporre ai clienti.

Il Coronavirus può infatti entrare a gamba tesa nelle attività aziendali, siano esse produttive o logistiche, in vario modo.

Le situazioni “tipo” sono prevalentemente due, ossia quella che vede il fermo in prima persona delle attività per via di restrizioni imposte dall’alto, quarantene e isolamenti, e quella che vede l’attività bloccata dai mancati approvvigionamenti.

Nel primo caso, si tratta di certificare con doverosa minuzia le ragioni del vostro stop. Vanno identificate le cause precise e, soprattutto, vanno documentate. Rendere il più possibile evidente e comprovabile la ragione che impedisce all’azienda di tenere fede agli impegni presi è il primo passo per gestire correttamente i problemi legali che ne deriveranno.

Nel secondo caso, si tratta di accertare che un’eventuale dichiarazione di sospensione di un contratto per cause di forza maggioresia accettabile. Questo non per scarsa empatia con chi sta vivendo una situazione sicuramente drammatica, bensì perché da un punto di vista legale tale certificazione deve rispettare una serie di criteri, primo fra tutti la precisione nello specificare cause, eventi e circostanze.